Nei giorni scorsi il premio Nobel Giorgio Parisi, in una lectio magistralis sulla Intelligenza Artificiale, affermava la necessità che gli Stati abbiano voce in capitolo “per valutare le conseguenze sociali dell’IA e non dare spazio a un capitalismo selvaggio”, per esempio sul fronte della perdita di posti di lavoro.

Sempre gli Stati – ha aggiunto – devono avere “tecnici che si impegnino a comprendere i meccanismi che la governano, anche se l’IA è quasi tutta in mano ai privati (che pure usano la ricerca di base fatta con finanziamenti pubblici)”. Una preoccupazione che il Partito Democratico accoglie perché si inserisce perfettamente nella sua riflessione nel merito. Abbiamo spesso dovuto “inseguire”, giocando di rimessa, lo sviluppo della tecnologia digitale che, soprattutto sul versante pedagogico non è stata priva di conseguenze di enorme impegno antropologico. Proprio per tale ragione, da forza politica progressista non vogliamo partecipare solo all’accompagnamento normativo di questa nuova avventura della nostra specie né possiamo limitarci a pensare che la semplice regolamentazione dell’IA esaurisca il nostro compito. Dobbiamo invece porci domande di più ampio respiro, per affrontare alcuni elementi critici. Esiste il problema della disponibilità dell’IA, finora sviluppata solo da superpotenze terze rispetto alla UE (USA e CINA), dunque va sottolineata la nostra totale dipendenza tecnologica e il tema, più controverso, di come restituire valore ai dati pubblici utilizzati per l’implementazione dell’IA, la cui titolarità resta nelle mani di soggetti terzi, spesso privati. Secondariamente, sulla scorta proprio delle affermazioni del prof. Parisi, la necessità che la formazione dell’IA non avvenga a scapito dei diritti dei lavoratori, pensiamo ai lavori di etichettatura a cottimo per implementare i sistemi di IA o a ipotesi di licenziamenti o riallocazioni di imprese a seguito dell’uso di IA: compito della politica è presidiare uno sviluppo sociale armonico e privo di ingiustizie. Infine, l’attenzione ai cosi detti “rischi sistemici”: polarizzazione delle opinioni, danni alla salute, in particolare dei minori, conseguenze sui diritti fondamentali delle persone. Noi crediamo che la scelta di prevedere obblighi anche per i fornitori di sistemi d’I.A. sia opportuna: non si può lasciarli liberi di operare e poi rimediare ai danni, come è accaduto con altre tecnologie. Dire che le persone sono al centro dei processi tecnologici significa non solo porre limiti agli operatori, ma anche agire per indirizzare il mercato. Non è utile investire “a pioggia” per favorire genericamente lo sviluppo di aziende europee nel settore dell’IA. Abbiamo bisogno che gli investimenti vengano indirizzati alla realizzazione di un disegno chiaro e trasparente, con sistemi aperti e verificabili dalla comunità scientifica, che attuino i nostri valori e realizzino il bene comune, contribuendo alla costruzione di una società democratica, giusta, libera e solidale. Stefania Bonaldi, responsabile Pubblica amministrazione, Professioni e Innovazione nella segreteria nazionale del Partito Democratico  L'articolo Regolamentare l’IA senza frenare l’Innovazione: ecco la nostra sfida proviene da Partito democratico.

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